Chiesa di San Giuseppe
La graziosa chiesetta di San Giuseppe si trova a meno di un centinaio di metri a sinistra della chiesa di Santa Maria; era anticamente intitolata a Sant’Eusebio; citazioni indirette (riferite cioè ai terreni e alla piazza vicina) riguardanti la chiesa di Sant’Eusebio risalgono al 1204, 1231 e 1251.
Divenne la sede della Confraternita “del Corpo del Signore e di San Giuseppe” per volere di San Carlo Borromeo nel 1582 che aggregò appunto le Confraternite di San Giuseppe e del SS. Sacramento; la prima descrizione della chiesa risale al 1602 in occasione di una visita pastorale di Federico Borromeo. La costruzione era originariamente a nave unica, il coro era retrostante l’altare con una porta alla sinistra dell’altare stesso ed una finestra di cui restano tracce sul lato orientale. Nel 1631 furono proposte varie modifiche di cui si hanno tracce documentate nel 1644 e nel 1749 che portarono alla pianta cruciforme di cui venne fatta descrizione già alla fine del XVIII secolo, con la comparsa della torre campanaria posta tra la sacrestia e la zona absidale. Ulteriori modificazioni riguardanti le finestre furono attuate nella prima metà dell’Ottocento; l’attuale facciata fu eseguita, addossata alla più antica, di cui conserva ancora l’ossatura, nel 1914.
Sul lato destro dell’altare si apre un coro semicircolare in cui sono sistemati i seggi dei confratelli, la sacrestia è sul lato opposto. All’interno della chiesa meritano attenzione in particolare le opere lignee: l’ancona dell’altare, il tabernacolo, la cantoria ed il coro, interessanti opere di intagliatori lombardi della metà del XVII secolo. Arona, che era terra lombarda, probabilmente era sede di una scuola di intagliatori, che fu attiva in zona. Ricordiamo Bartolomeo Tiberino (secolo XVII), le cui opere sono presenti in Arona, Dormelletto, Orta, Domodossola, Cannobio, Masserano e nel Canton Ticino; Raimondo e Clemente Verga, attivi a Graglia e a Carpugnino, nel 1684-1686; Giovanni Andrea Grifante (il pulpito della chiesa di Craveggia 1621); Giuseppe Cuchino (1657 il coro del convento della Visitazione in Arona); Francesco Perrella (il reliquiario del Sangue di San Carlo, della chiesa del Colle – 1683 – e la Madonna del Rosario di Crenna); Carlo Andrea Ferrario (di cui sono presenti almeno quattro opere in Arona) e infine G. Battista Pallavicino (prima metà del secolo XVII), di cui si ricorda il tabernacolo della chiesa di Varallo Pombia. L’assetto attuale dell’ancona d’altare ed il tabernacolo, risalgono probabilmente ad una sistemazione settecentesca, già attestata in un documento del 1749; un’affinità nei volti e nelle espressioni lega le statuette che ornano il tabernacolo e che rappresentano i Santi Pietro e Paolo, Andrea e Filippo, al gruppo di San Giuseppe e del Bambin Gesù, sul coronamento dell’ancona. Il tutto è ornato in modo policromo con abbondanti dorature e trattato con graffiti attuati in modo da ottenere un effetto particolare e ricorda le modalità di ornare tipiche della cultura spagnola, coerentemente con le ricorrenze storiche del periodo. La tela sull’altare è attribuibile alla scuola di Carlo Francesco Nuvolone, di una cui opera pare essere una replica.
La cantoria, già descritta verso io fine del Settecento, posizionata attualmente sopra l’ingresso principale della chiesa, in modo presumibilmente diverso rispetto all’idea originale; presenta decorazioni scultoree simili a quelle del coro con la presenza di putti musicanti e di cariatidi, cherubini e cascate di frutta sulle lesene della balconata. Fu restaurata nel 1976.
Poco più avanti, sulla destra, i nove seggi corali sono disposti a semicerchio nella sede absidale; di questi cinque sono forniti di braccioli intagliati ed inginocchiatoi. Il seggio centrale porta al culmine una statuetta di San Giuseppe e del Bambino Gesù; nel dorsale, al centro di una gloria di cherubini si notano due angioletti che reggono un ostensorio raggiato, simbolo della confraternita di cui la chiesa era sede. Il complesso delle strutture del coro presenta un impianto originale eseguito intorno alla metà del Seicento; dopo varie sistemazioni la chiesa raggiunse l’attuale configurazione nella seconda metà del Settecento.
Le datazioni prima dette paiono compatibili con i caratteri pregevoli dei seggi, coerenti con i gusti decorativi del pieno Seicento; analogamente a tale periodo si rifà la tipologia espressiva delle statuette, molto vicine stilisticamente alle opere dei fratelli Taurin e di Daniele Ferrari presenti nella chiesa di San Fedele a Milano. Sono rilevabili peraltro le presenze di altri stili diversi, di cui uno più sciolto e delicato nell’espressione (le figure di Davide, Salomone e del giovane Telamone a sinistra) ed altre più sanguigne e popolaresche (i due altri Profeti e il San Giuseppe centrale). Anche i seggi corali furono restaurati nel 1976.
La chiesetta di San Giuseppe riserva però altre sorprese, suggestive di più antiche visitazioni e sacralità del luogo in cui fu eretta. Durante i recenti lavori di ristrutturazione del 1975, sotto la vecchia pavimentazione, lungo la parete sinistra, venne ritrovata dapprima la lapide sepolcrale secentesca del capitano Manuel Aguado, militare spagnolo, non altrimenti noto, morto ad Arona; in seguito una ciotolina di argilla decorata con impressioni triangolari, protetta da sassi infissi verticalmente nel terreno; i resti frammentati di un vaso a trottola, di colore rosso-arancione con decorazioni a bande orizzontali brunastre che orientavano per una datazione al I secolo a.C.
Tra gli altri resti furono inoltre trovati una ciotola a bordo rientrante, adagiata su frammenti ossei, un coperchietto tipologicamente accostabile ad altri analoghi reperti gallici della zona e frammenti nerastri di un altro vasetto. Questi reperti si riferiscono ad un’area sepolcrale gallico.
In seguito la zona di scavo venne ampliata verso la parte centrale della chiesa; venne portato alla luce dapprima un muro di sostegno in ciottolame ed alla sua sinistra (spostato verso il muro della chiesa ) un piccolo forno per la fusione dei metalli (ora visibile attraverso un’opportuna protezione), in mattoni, originariamente coperto con una calotta. Nel piano di calpestio circostante si raccolsero ben tre chilogrammi di frammenti bronzei da rifondere, scorie e parti di uno stampo per fusione, nonché i resti della calotta d’argilla prima detta.
Il forno, esemplare raro per la sua interezza in Piemonte, era scavato nel terreno ghiaioso circostante, protetto da esso dal muro semicircolare prima descritto e costruito su una precedente necropoli. In rapporto ad alcuni reperti rinvenuti (un unguentario vitreo fuso, su scoria, la parte apicale di uno spillone bronzeo ed alcuni frammenti vitrei iridati), fu attribuito al tardo impero.
posizione: Via San Carlo coordinate: N45.76173 E8.55871 Mappa»